#6 Degli imprintig.

L’architettura che prende vita.

--ORIZZONTALE--MOVIMENTATA--

Ho pensato moltissimo prima di scrivere qualche riga su un luogo della memoria a me caro. Sono in realtà pochi ma questi pochi hanno in loro numerose differenze. Alla fine, ho deciso di parlare di un luogo che, come nel Colosseo, rinchiude dei gladiatori, dei guerrieri, che lottano fino all’ultimo fiato per aggiudicarsi la gloria eterna.

Questo luogo è l’autodromo, in particolare, quello dedicato a Piero Taruffi che si trova a Vallelunga, nelle vicinanze della città di Campagnano Romano. Il mio primo approccio all’automobilismo

Scrivere di un’architettura così austera come possono essere gli autodromi mi è risultata fin da subito un enorme sfida. Sì, perché l’autodromo, a differenza dello stadio, viene costruito per rinchiudere al suo interno degli esseri umani che corrono contro la morte, in barba a ogni pericolo e solitamente questo tipo di architettura ha veramente poco a che fare con gli aspetti pregiati che possono andare a comporre un’architettura.

Ma cercando ora di non finire fuori tema vorrei raccontarvi il perché di questa scelta come mio personalissimo imprinting.

Per parlare di questo bisognerebbe andare indietro di almeno diciotto anni, nell’ormai lontano 2004 quando, per la prima volta, sentii parlare delle automobili. Da quel giorno sapevo che la mia passione sarebbe stata quella e che avrei inseguito il sogno di andarle a vedere dal vivo per molto, molto tempo.

Vedere un’architettura come quella di un autodromo crea sempre mille dubbi e ci pone sempre numerose domande tra le quali: “Ma è sostenibile?”; “Ma in giro non posso circolare sennò inquino mentre loro possono girare in pista?”. Domande che pongono il dubbio sull’utilità di una struttura tale e che mettono in discussione la sua presenza sempre e dovunque. 

L’autodromo è visto dai miei occhi come un’architettura a sangue freddo: quando arriva al venerdì si inizia a svegliare, va alla ricerca del sole per scaldarsi e la domenica esplode di suoni e colori fino al tardo pomeriggio quando, finita la festa, tutto torna a tacere, tutto si rifà silenzio fino al venerdì successivo. 

Qualche anno dopo da quel lontano 2004 sono riuscito a coronare il mio sogno andando Vallelunga per la prima volta. Avrò avuto una decina di anni ed erano circa le 8:30 di una fredda domenica mattina e dalla collina che conduce all’ingresso non si vedeva nulla. Inoltre, lì a Campagnano nei mesi primaverili fa ancora abbastanza freddo e, con la natura che circonda la struttura, si crea sempre una fitta nebbia. Dalla collina è vero che non si vedeva niente ma è anche vero che si sentiva molto. Era infatti da almeno un quarto d’ora che le prime vetture avevano iniziato a girare in pista per fare in modo che la nebbia scomparisse e che dalla collina della “trincea”, iniziassero ad comparire i primi raggi del sole che avrebbero illuminato la tribuna centrale dove mi trovavo io. Quel ragazzino sentiva che il sogno da lui inseguito per molto tempo, stava per esaudirsi.

Una volta giunti quindi in autodromo e arrivato infine alla tribuna, ecco che le vidi: bianche, blu, nere e rosse, le vetture iniziavano ad essere tante e il suono iniziava ad essere “rumore”.

Lo scrivo tra virgolette perché è importante comprendere quando un suono come quello di un motore è “rumore” e quando questo è invece definibile “suono”. In autodromo, ad esempio, far suonare un motore è come trovarsi in un auditorium a sentire un concerto di musica classica: tutti i suoni di tutti gli strumenti suonano a ritmo seguendo il direttore d’orchestra. Ciò che avviene lì è la medesima cosa di ciò che avviene in autodromo: ogni vettura che passava era per le mie orecchie un suono e ogni volta che queste passavano una dietro l'altra ecco che diveniva ritmo. Un ritmo non mono nota ma un ritmo con suoni diversi: prima acuto, poi basso, poi audace e ora di nuovo alto.



L’autodromo di Vallelunga ha una tribuna che ti permette di vedere solamente una parte del circuito e quello che non vedi lo senti e basta. Ciò che non vedevo infatti me lo immaginavo grazie al suono delle vetture e in base a come suonavano riuscivo a comprendere ciò che succedeva e aspettavo con trepidazione che uscissero dalla trincea per poi ripassare nuovamente sul traguardo.

E così via fino alla fine della giornata dove l’autodromo piano piano si svuota e torna a riposare aspettando un nuovo giorno.

Nel mio progetto vorrei riportare questo "movimento fermo" nella mia architettura, attraverso prospetti dei "movimentati". 

Movimento da fermo

 





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