LEONARDO RICCI. PENSIERI E PROGETTI

 

LEONARDO RICCI. PENSIERI E PROGETTI.

Relazione di Guido Martella.

25/10/2022

La giornata è iniziata con i saluti dei professori Orazio Carpenzano e Alessandra Capuano che, insieme a Maria Clara Ghia e Alfonso Gianciotti, hanno introdotto il tema della giornata.  La giornata era interamente dedicata alla figura misteriosa e poco conosciuta dell’architetto Leonardo Ricci, che nella sua epoca è stato un importante architetto fiorentino dalla personalità umana e genuina che nella in vita ha lasciato numerosi insegnamenti. Si è evidenziato come, a differenza di altri architetti della sua stessa epoca, Leonardo Ricci pensava che l’architettura non dovesse essere fatta solamente di forma e materia ma doveva avere la missione di adattarsi e plasmarsi attorno allo spazio umano. Inoltre, faceva in modo che l’architettura non morisse una volta progettata e costruita, bensì questa prendeva vita ed entrava a far parte di un sistema vivente.

Un altro suo pensiero fisso per il quale si batteva era quello di creare un legame forte tra architettura e uomo sempre con l’obiettivo che quest’ultimo potesse mantenere in vita l’architettura stessa. Plasmare quindi l’opera attorno a energie viventi.

Si è andati avanti cercando di inquadrare tale personalità all’interno del panorama di quel tempo, inserendolo nell’epoca a cavallo tra gli anni 60 e 70 del Novecento dove persistevano per lo più due orientamenti: il primo era di tipo Neoilluminista, il secondo puntava lo sguardo verso il futuro con studi come Archigram e Superstudio.

Altro punto nodale di questa figura, era saper creare delle opere sensibili che avessero una forte percezione tattile facendo in modo che un corpo si riconoscesse tale all’interno di uno spazio.  Altra cosa che distingueva Leonardo Ricci, dagli altri architetti contemporanei, era la sua non autoreferenzialità e la continua ricerca di una nuova tessitura.  

Le ultime opere costruite dopo la sua morte, non rispecchiano appieno ciò che era il suo pensiero perché sono andate a rimodellarsi attorno a un’idea di chiusura che non faceva parte del suo linguaggio.

La professoressa Alessandra Capuano ha evidenziato come quella di Ricci fosse una figura di “Architetto Sociale e Spirituale” che cercava sempre nelle sue opere di creare una certa osmosi tra spazio naturale e spazio artificiale costituendo quindi una certa collaborazione finale tra spazio e opera, in un continuo interscambio di ruoli tra architettura che diventa paesaggio e paesaggio che diventa architettura.  È stato quindi un architetto che ha fatto della presenza di vita nell’architettura un suo punto di forza. Come diremo noi in questi tempi, una “Driving force”. 

Maria Clara Ghia ha poi continuato il racconto di Leonardo Ricci ricordando come, 10 anni fa, vinse il premio Zevi proprio grazie ad un saggio che raccontava la figura di questo architetto. Da quel giorno in poi si è andati a riscoprire questa importante figura grazie a ricerche, pubblicazioni e anche ad una nuova ricollocazione dell’archivio delle sue opere. In questi anni si è quindi riscoperta la sua personalità, rimasta per troppo tempo nell’ombra andando a riempire piano piano quelle lacune che sembravano non più rimarginabili. 

Successivamente, Alfonso Gianciotti ha raccontato brevemente la strutturazione della mostra che si è tenuta nello spazio espositivo al piano terra. Ci ha anche raccontato di come Leonardo Ricci fosse un architetto umano e sensibile al disegno della città e che si basava moltissimo su un’architettura vista come insieme di persone e non insieme di cose. 

Infine, Clementina Ricci e Maurizio Sazio hanno presentato il lungometraggio “Ogni mattina si nasce di nuovo” che racconta l’immagine di Leonardo basandosi sullo scritto “Anonimo del XX secolo”. 

Alla fine del lungometraggio, sono iniziati gli interventi:

Claudia Conforti. Ultima primavera a Firenze.

Giovanni Leoni. Autobiografie di architetti anonimi.

Beatrice Conforti. Eredità dei disegni.

Anna degli Innocenti. Casa Mann Borgese, tra mare e montagna.

Antonella Greco. La baldanza proteiforme del superamento degli steccati.  

Julia Guillon. The Villa Bailman. 

Antonino Saggio & Giovanni Bartolozzi. Ricci nel dibattito architettonico, gli allestimenti. 

Matteo Cassani Simonetti. La forma senza fine e il Padiglione italiano dell’Expo67 di Montreal. 

Ilaria Cattabriga. Leonardo Ricci e gli Stati Uniti. 

Tra questi nove interventi, due in particolar modo mi hanno colpito e vorrei riassumerli qui di seguito.


Claudia Conforti. Ultima primavera a Firenze.  

Cassa di Risparmio. Sede storica. 

Il racconto di Claudia Conforti inizia da un’immagine della Cassa di Risparmio di Firenze, luogo che rispecchiava l’architettura fiorentina degli anni 50. Il suo racconto è incentrato sulla figura di Leonardo Ricci e sulla sua capacità di sfruttare l’architettura come spazio empatico, che riuscisse a dare importanza al nostro corpo e renderci consapevoli di ciò che siamo. 

Il titolo del suo intervento, “Ultima primavera a Firenze”, vuole riprendere gli avvenimenti bellici e in particolar modo il disastroso bombardamento delle truppe naziste sulla città di Firenze, un’enorme ferita per la città ma anche per tutto il paese. Infatti, tali bombardamenti portarono alla distruzione di gran parte della città ormai consolidata e anche parte della città storica, con numerosi ponti che vennero fatti saltare in aria. Da qui parte quindi il racconto della ricostruzione di Firenze da parte prima di Michelucci, collega e amico di Leonardo Ricci, che aveva immaginato la ricostruzione della città con una nuova comunicazione tra la città vecchia e la città nuova. Si vede quindi, all’interno della tragedia avvenuta, una grande occasione di ricostruzione di una città nuova completamente differente da ciò che è stata. 

Tra i tanti personaggi che hanno dato una nuova luce alla città di Firenze,  Claudia Conforti ci racconta poi della figura illustre di Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell’arte nonché grande personaggi politico della Firenze del 50 che aiutò la rinascita della città con un nuovo “Rinascimento”. La sua importanza è data dal fatto che, oltre che appoggiare l’idea di Michelucci, Ragghianti era favorevole ad un’apertura ai nuovi orizzonti andando così ad uscire dalle mura della vecchia città con l’obiettivo appunto di creare un nuovo Rinascimento, una nuova “Primavera”, così come fu ai tempi di Botticelli. 

Ponte Vecchio.

La nuova architettura, quindi, doveva un po’ riprendere questa plasticità dei prospetti offerti dalla pietra prendendo come esempio il Palazzo Strozzi, palazzo in cui Ragghianti fece allestire una mostra per sua volontà. (La mostra sull’oggi). 

Si ricorda inoltre che Ricci fu uno dei tanti ad utilizzare la pietra in facciata, andandola ogni tanto a contrastare con delle superfici più lisce. 

Altro personaggio illustre di cui Claudia racconta è Giorgio la Pira che aiutò molto Ludovico Ragghianti nella sua idea di una nuova Primavera fiorentina.

Una cosa del racconto che mi ha colpito è che, durante il ventennio e prima ancora della disastrosa alluvione, la città era messa piuttosto male ma la gente continuava a trovare in tutta questa tragedia degli sprazzi di “quotidianità” come, ad esempio, l’andare a teatro.  Un pensiero che fa il paio ai giorni nostri e a tutto quello che sta accadendo nel mondo. 

In questa nuova primavera fiorentina prende spazio anche una nuova idea di manifattura e di moda con personaggi del calibro di Giovan Battista Giorgini, il quale ha fiutato l’importanza della manifattura fiorentina dell’epoca ed ha sperimentato nuove mode, dando alla luce nella città la prima sfilata di moda dedicata principalmente al lusso che aveva come obiettivo quello di mostrare l’importanza della manifattura locale che col passare del tempo prese il nome di “Pitti moda”, marchio tutt’oggi molto conosciuto

Giovan Battista Giorgini.

Non solo moda, ma anche architettura. Di fatto, Claudia Conforti racconta di come è stato importante l’apertura della città per fare in modo che ospitasse non solo allestimenti di artisti locali ma anche di artisti di fama mondiale. In questo nuovo rinascimento, viene raccontato l’arrivo di Frank L. Wright e di Le Corbusier e di come Leonardo Ricci organizzò l’allestimento proprio per la mostra di quest’ultimo.  

Frank Lloyd Wright.

LeCorbusier. 


La figura di Ricci viene riconosciuta parte di questo nuovo rinascimento grazie alla sua architettura. E proprio all’interno degli allestimenti partecipò alla mostra “La casa abitata”, oggi biennale degli interni. 

Il racconto procede con la descrizione di una città nella quale la religione era presente ma con uno scarsissimo bigottismo grazie anche a figure molto aperte di mentalità come il cardinal Recero e Padre Balducci. 

La Firenze della fine degli anni 50 si vede rinata. L’obiettivo portato avanti da Michelucci, Ricci e altri personaggi illustri è stato raggiunto anche e soprattutto con il nuovo Piano Regolatore per la città di Firenze e un modello di città di tipo industriale, il quartiere Sorgane, che non è sorta come era stata immaginata. 

Il racconto si conclude con una frase dal significato molto importante: “Rivedo le rive dell’Arno prive di addi”. Una frase che mette in risalto la città come nuovo polo attrattivo e non più una città disastrata dalla quale poter solamente andare via; una città in cui restare e non più una città di “passaggio”.

L’intervento di Claudia Conforti ci mette davanti la situazione fiorentina alla fine della II guerra mondiale, una situazione che di certo lascia poche speranze ad una ricrescita rapida della città che sembra però non aver mai perso la speranza. Una città, la sua città, in cui Ricci inizia piano piano a fare e a pensare. 

 

Antonino Saggio & Giovanni Bartolozzi. Ricci nel dibattito architettonico, gli allestimenti. 

L’intervento di Giovanni Bartolozzi è stato introdotto dall’architetto e professore Antonino Saggio. Un introduzione molto formale e teatrale nel quale racconta il suo essere uno “zeviano di estrema destra” -un comportamento quasi antiaccademico- e innamorato della figura di Giuseppe Pagano, autore di un’architettura rigorosa e regolare. 

Una premessa, quella di Antonino Saggio, che serve a far comprendere quanto la figura di Leonardo Ricci è stata trascurata rispetto ad altri architetti contemporanei. 

I BBPR.

Scrisse molti articoli rivolti ad architetti e ingegneri e si avvicinò alla figura di Leonardo grazie a Julia Banfi, moglie di Gianluigi Banfi, la quale era la redattrice del gruppo BBPR ed ebbe l’onore di girare l’Italia studiando e registrando tutte le opere dei più grandi architetti. 

Racconta inoltre che Julia e Gian Luigi scrissero per una rivista, il “Quadrante”, nella quale raccontano i grandi architetti dell’epoca.

Nel 1994, Antonino Saggio si ritrovò a dover scrivere un ricordo per un architetto, tale Leonardo Ricci, il quale era morto qualche giorno prima. Appresa la notizia, andò quindi a informarsi su questa figura e scoprì tristemente che a lui dedicato c’era giusto un libro, molto povero nei contenuti.

Insomma, a quel tempo Ricci non era altro che una figura anonima, un “genio incompreso” conosciuto da pochi se non da nessuno. Un personaggio per quale era difficile scrivere, poiché era poco documentato e solamente dopo la sua morte si scoprì quanto fosse geniale.  

Giovanni Bartolozzi, architetto dell’Università degli Studi di Firenze, era appassionato dalla figura e dall’architettura di Bruno Zevi tanto da volerne organizzare un convegno nel 2001, un anno dopo la morte di Zevi. Nel 2000, una volta scomparso Zevi, Antonino dovette prendere in mano una monografia dedicata a quest’ultimo nella quale collaborò anche Giovanni Bartolozzi. 

Bartolozzi, dopo Zevi, si innamora di Leonardo Ricci e delle sue architetture in particolar modo di una, la Chiesa Valdese a Pachino della quale riesce a scrivere, come detto da Antonino Saggio, una monografia “adulta” e corretta. 

Antonino Saggio arriva infine a raccontare la sua opera letteraria di maggior spessore, un libro che cerca di racchiudere 180 anni di architettura e racconta i più grandi architetti della storia. Tra i tanti artisti che Saggio vuole raccontare è presente anche Leonardo Ricci. Spiega però che è stato difficile inserirlo in un “contesto” esatto per il fatto che la sua è una figura molto umana e che forse sarebbe rimasta troppo nascosta. Decide però di posizionarlo là dove merita, ovvero tra gli architetti degli anni 60. In questo “contesto” troviamo moltissime personalità, abbiamo infatti architetti eccentrici come gli Archigram o personalità molto più serie come Aldo Rossi. 

Dopo questa introduzione, Giovanni Bartolozzi inizia il suo intervento centrato principalmente sulla figura di Leonardo Ricci come “allestitore” e soprattutto con una nota a sfavore delle opere progettate postume. In particolar modo si riferisce al Palazzo di Giustizia della città di Firenze che non rispecchia in parte il linguaggio molto umano di Leonardo Ricci. 

Spazio vivibile per due persone.

Parlando invece del “Leonardo Ricci allestitore”, sappiamo che ha allestito, nel 1964 a Palazzo Strozzi, una mostra sull’espressionismo con l’obiettivo di seguire e sintetizzare il linguaggio espressionista delle opere esposte. Nel 1965, sempre a Palazzo Strozzi, collabora all’allestimento per “La casa abitata” con “Lo spazio vivibile per due persone”, dove tutto era plasmato a seconda dei movimenti di due individui all’interno di questo volume scavato in maniera poetica e fluida

Viene infine raccontata la figura di Ricci all’interno del panorama mondiale facendo cenno alla sua partecipazione all’EXPO di Montreal del 1967, al quale collaborò insieme a Munari e Carlo Scarpa per la progettazione degli spazi del Padiglione Italia.

Anche in questo caso le forme utilizzate da Ricci sono fluide e seguono un movimento umano.

Casa Mann Borgese, Forte dei Marmi 1957. 

L’edificio è stato ampiamente trattato durante il convegno dall’ingenera Anna degli Innocenti, la quale ha riportato il disegno da carta al digitale, così come per altre opere. Ci viene raccontato che l’opera intorno al 2018 versa in uno stato “indegno” e che, solo dopo aver parlato con il proprietario, si è iniziato a lavorare per riportarla alla luce. L’opera venne progettata e costruita per Elizabeth Mann e il marito Giuseppe Antonio Borgese nel retroterra di Forte dei Marmi, in Toscana, luogo in cui Leonardo Ricci fece sorgere numerose delle sue architetture. 

La struttura dell’opera è composta da dei setti a contrafforte in pieno stile “Ricciano”, che vanno a reggere l’edificio in modo tale che si alterni il senso di librato e ancorato al suolo. Questi, per dare un senso ancor più forte di questo ancoraggio, sono fatti in pietrame di marmo preso dagli scarti delle cave di Carrara. Il resto dell’edificio è in cemento armato tinteggiato di bianco in modo tale da creare un alto contrasto tra la struttura portante e la struttura portata. 

La casa è composta da tre piani fuori terra con al pian terreno uno spazio prettamente estivo assimilabile ad un patio, mentre i piani superiori sono la vera e propria abitazione che si apre con un ampio soggiorno a doppia altezza collegato alla cucina mentre il piano secondo ospita delle stanze. Il disegno degli interni è progettato interamente da Leonardo stesso in modo tale da avere un unico linguaggio.  


L’architettura di Ricci è fatta con questo dualismo di struttura portante e portata e, come raccontato in precedenza, si basa sul principio di integrazione-esternazione che avviene con il patio. Inoltre, l’orientamento della casa è pensato in modo tale da prediligere la doppia vista che può offrire la città di Forte dei Marmi: a ovest la casa affaccia sul lungomare mentre a est, il prospetto offre la vista alle Alpi Apuane. Un’architettura assimilabile ad un doppio cannocchiale, anche grazie alla forma del “doppio ventaglio” che sembra chiudersi al centro dove si trova la “torre delle scale” che sembra voler essere il perno di tutta l’opera.


La mostra: “Leonardo Ricci. Le case”.

La mostra, che si trova nella galleria espositiva al piano terra della Facoltà, vuole essere un racconto evolutivo del linguaggio architettonico che Leonardo Ricci ha usato nei progetti delle case. Una mostra che mette in evidenza la sempre attualità delle idee di Leonardo che possiamo appunto trovare all’interno delle opere presentate.

Questa è composta da disegni e immagini delle architetture esposte; sono presenti anche delle stampe 3D che raffigurano alcune delle architetture esibite. Queste stampe 3D sono sezionate con la volontà di evidenziare l’importante lavoro che Leonardo Ricci svolgeva con la sezione -abbastanza articolate- delle sue opere. Sono presenti, inoltre, appunti provenienti dal libro “Anonimo del XX secolo”. 


Nota personale. 

Tra i tanti architetti italiani che si sono fatti spazio nel XX secolo, Leonardo Ricci sembra essere uno fra tanti, un architetto di nicchia poco conosciuto tant’è che si autodefinisce “anonimo”, vista la quantità di grandi architetti che sono fioriti nella sua stessa epoca e che sembra abbiano avuto più luce e più fama.  

Viene da pensare che la figura di Leonardo è stata effettivamente troppo trascurata e che ad oggi si pensa a lui quasi come un treno mancato che avrebbe portato in un posto di certo gradevole. Si ripensa a lui con malinconia, quasi a voler tornare indietro per poterlo approfondire meglio di quanto sia stato fatto in precedenza. 

Una figura molto umana, che basava la sua architettura sulla vita dell’individuo e che di certo non dimenticava mai il rapporto con il contesto e con l’ambiente che lo circondava.


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