1. Alberto Burri, Cretto di Gibellina. (1984-1989)
Parola chiave: Memoria.
Riportare in mente all’uomo ciò che è
stata Gibellina con la pesante presenza di questo mantello in pietra che
ripercorre i perimetri delle vie che un tempo costituivano la città. L’opera dall’alto
può vagamente somigliare ad un terreno arido, privo di vita oppure ad un “lenzuolo
funebre” che riprende le forme della città che ho cercato di riassumere con degli assi e con un perimetro che lo stesso Burri descrive come taglio netto dalla realtà.
La vita in quest’opera è data dalla presenza delle persone che la percorrono e da quelli che hanno memoria e raccontano com’era un tempo la città vecchia di Gibellina.
2. Maria Lai, Legarsi alla montagna. (1981)
Parola chiave: Comunità.
È un’opera comunitaria che Maria Lai ha voluto mettere in atto per circondare la sua città non solo con questo filo azzurro ma anche grazie alle emozioni che l’allestimento ha scaturito in tutti i cittadini che si sono resi protagonisti.
Un'opera d'arte relazionale nella quale i cittadini in primis si sono resi partecipi.
"Tutti insieme possiamo essere opere d'arte".
3. Tatiana Trouvé, Les Indefinis. (2018)
Parola chiave: Avvenire.
A primo impatto l’opera presa in esame mi è sembrata una città: una città invisibile, semi abbandonata dove la natura ha iniziato a riprendersi i propri spazi. Una città che racconta di un passato che è stato e di un futuro che sarà, che sta rinascendo.
È un’opera, come viene descritta, che
racconta un qualcosa che ancora non esiste o che è già esistito tramite le
etichette descrittive con i dati archivistici di opere che sono state e che saranno composte dall’autrice, mettendo quindi in continuità il passato con il futuro.
Ha una certa similarità con l’opera “Le torri della città invisibile” di Fausto Melotti che fa da copertina all'omonimo libro -molto importante nella letteratura italiana- “Le città invisibili” di Italo Calvino.
Commenti
Posta un commento